Storia

Chi ha inventato la pizza? Come nasce la pizza? Dove nasce la pizza?

Per cercare di rispondere a tutte queste all’apparenza semplici domande, bisonga ripercorrere la storia della pizza e dei suoi ingredienti a partire da molto lontano …infatti molte migliaia di anni fa, alle origini della storia, l’uomo diventava agricoltore e raccoglieva i chicchi di grano e quando ne aveva bisogno se ne nutriva.
In seguito l’uomo scoprì che poteva anche impastare quel grano con l’acqua, e arrostire quell’impasto, a forma di disco su pietre roventi.
I primi che fecero questa procedura aprirono la strada alla conquista del pane, delle schiacciate, delle pizze per come le conosciamo oggi. Da questa considerazione possiamo dire chepane, focacce sono all’origine della pizza e rappresentano la radice stessa della nostra civiltà.
Il grande passo successivo fu quando venne scoperto il principio della lievitazione, e fu inventato il primo forno per una cottura molto più comoda rispetto al passato. Questo avvenne circa seimila anni fa, in Egitto nella zona della mezza luna fertile, dal Nilo all’Eufrate.
C’era stato chi aveva notato che l’impasto, veniva a volte invaso da forze misteriose che lo facevano gonfiare e poi guastare. Alcuni consideravano impura quella pasta e la buttavano, altri invece pensarono di studiare il fenomeno e di sfruttarlo: tutto dipendeva dalle concezioni religiose dell’epoca. Gli ebrei, per esempio, rifiutarono sempre il pane lievitato e nei loro riti non era ammesso. Gli egizi invece impararono ad utilizzare quella pasta e a cuocerla. Gli egiziani inventarono il forno, questa è un informazione certa, che era a forma di cono.
Arrivando in Italia a Napoli, verso il Mille, si parla di primitive schiacciate chiamate “lagano”, e compare anche il termine “picea”, forse per indicare una preparazione diversa, nel senso di avere già il disco di pasta coperto da ingredienti colorati prima di infornare il disco di pasta.
Successivamente compare il termine pizza, non dimenticando però che il termine pizza indica anche oggi nel sud d’Italia non solo la classica pizza, ma anche dischi di pasta ripieni, focacce ripiene, o preparazioni analoghe.
Da segnalare anche che nel Seicento, in un’operetta napoletana, chiamata il Cunto de li Cunti, c’è una storia intitolata “Le due pizzelle”.
Ma per veder comparire finalmente la pizza per come siamo abituata a riconoscerla ai giorni d’oggi bisogna ancora aspettare il Settecento e il motivo di questo ritardo è lo stesso che presiede la nascita degli spaghetti al pomodoro, ovvero, perchè il pomodoro in Europa non esisteva fino a quando non venne introdotto dall’America e quindi fino alla scoperta dell’America nel 1492. Da quella data passò ancora un secolo e mezzo prima che gli europei scoprissero le virtù del pomodoro in cucina e i napoletani in particolare ne facessero una loro bandiera culinaria.
Quindi solo in tempi recentissimi rispetto alle migliaia di anni che abbiamo descritto prima, che nascono la pizza al pomodoro e gli spaghetti al pomodoro.
Verso la fine del Settecento dunque si comincia a distinguere la pizza a Napoli prima che spicchi il suo volo nel mondo. Arrivando poi al 1830 per avere notizia dell’esistenza di una pizzeria vera e propria (fino allora i pizzaioli avevano solo dei banchi all’aperto) che viene considerata la prima pizzeria nata a Napoli, dettaPort’Alba, perché si trovava a fianco dell’arco che da piazza Dante immetteva in via Costantinopoli.
Nell’estate del 1889 accadde un episodio celebre. il re Umberto I con la regina Margherita, trascorsero l’estate a Napoli nella reggia di Capodimonte, per fare atto di presenza nell’antico regno delle due Sicilie. La regina eraincuriosita dalla pizza che non aveva mai mangiato e di cui forse aveva sentito parlare da qualche scrittore o artista ammesso a corte.
Ma non poteva andare lei direttamente in pizzeria, così la pizzeria andò da lei; fu chiamato a palazzo il più rinomato pizzaiolo del tempo, don Raffaele Esposito, titolare della rinomata pizzeria Pietro il Pizzaiolo, che si trovava alla salita Sant’Anna.
Don Raffaele utilizzando i forni delle cucine reali, assistito dalla moglie donna Rosa, preparò una pizza speciale con mozzarella, pomodoro e basilico, cioè con i colori della bandiera italiana, che entusiasmò in particolare la regina Margherita, e non solo per motivi patriottici.
Don Raffaele, colse al volo l’occasione e chiamò questa pizza “alla Margherita”, il giorno dopo la mise in lista al suo locale ed ebbe come si può immaginare innumerevoli richieste.
Poi con il tempo le due pizze che hanno fatto più strada sono la cosiddetta pizza alla napoletana, uguale alla pizza margherita ma con l’acciuga e la stessa margherita.

Ricetta

Tonda con un diametro non superiore ai 35 cm, con il bordo rialzato, il “cornicione” spesso 1-2 cm, sulla parte centrale (spessa 0,3 cm) mozzarella di bufala campana dop, pomodoro e basilico fresco.

1. Per ogni litro di acqua ci vogliono: 50 gr. sale, 5 gr. lievito, 1,8 kg farina. La farina si aggiunge lentamente, in non meno di 10 minuti, l’impasto lavorato per 20 minuti fino a che non raggiunge “il punto di pasta”, quando è grasso all’aspetto e liscio al tatto, molto estensibile e poco elastico.
2. Lievitazione: l’impasto riposa per su un piano di marmo o in una madia di legno per 4 ore coperto da un panno umido e poi suddiviso in palline da 180 gr.
3. La VERA sfoglia si ottiene senza matterello, su un piano di marmo coperto di farina fino a che lo spessore non diventa di 1 cm.
4. Condimento: un filo d’olio – da preferire extra vergine campano dall’aroma fruttato o mandorlato – e, per una pizza margherita, pomodoro San Marzano e mozzarella di bufala campana a pezzetti non troppo spessi.
5. Cottura: in forno a legna con base di mattoni refrattari e una cupola dello stesso materiale. ntrodotta con una pala di legno a una temperatura di 450 – 480° e rigirata spesso in modo che riceva il calore in modo uniforme.
6. Il risultato: una pizza dal bordo esterno regolare, gonfio, privo di bolle e bruciature, di colore e dal profumo di pane. la parte centrale morbida, arricchita da un ciuffetto di basilico fresco.